IL VOLTO DELL’ANIMA

1. Le porte del silenzio, la coscienza del colore (1989-1993)

Come in uno slancio verso uno spazio sconfinato la ricerca di Raffaele Cioffi offre i primi segnali di luce alla fine degli anni Ottanta, con un gruppo di tele che si staccano dalle forme figurative che costituiscono l’approccio iniziale della sua pittura.

Come avviene in questi casi, il periodo di formazione di un giovane pittore è sempre un laboratorio istintivo di forme che si accavallano, di ipotesi che si rincorrono, di progetti che si sviluppano  prima di giungere ad una convincente scelta di campo.

Quelle che possono essere considerate alla base del pensiero creativo di Cioffi sono tele dedicate alla meditazione e al silenzio, spazi adombrati che lasciano intuire la presenza di un mondo sconosciuto che sta oltre il meccanismo del vedere, e da quel punto lontano non si lasciano esaurire in significati banali, esigono un’attenzione problematica, un avvicinamento complesso.

Si tratta di immagini pensate come porte dell’immaginazione, soglie dello spazio infinito che la vertigine del pensiero afferra lentamente, seguendo quel perimetro di luce che definisce e, nello stesso tempo, le lascia svanire fermando  la visione su se stessa.

Il colore di queste opere  dialoga con la porosità della superficie, costituita da veli di carta incollati sulla tela, quasi per trattenere in modo sempre diverso il pigmento che ammanta e rivela la materia.

Il segno delle pieghe, la leggerezza delle trasparenze, l’allusione materica delle increspature, la struttura apparentemente razionale dell’immagine: sono questi gli elementi sensoriali che  suggeriscono, la dimensione instabile dell’immagine, i movimenti della sua totalità e, insieme, il valore dei suoi particolari attributi.

L’occhio è invaso dalle penombre della luce, si confronta con la dimensione del non conosciuto, non sa dove risolvere la propria ansia di conoscenza, se non in quei movimenti della superficie che la segnano in modo impercettibile, oscillando da un punto all’altro senza rappresentare altro che l’inquietudine della materia.

In questa ricerca di silenzi che nascono all’interno di minime gestualità Cioffi è attento ai valori essenziali dell’immagine: la struttura della porta si articola su tre lati suggerendo una cornice che offre profondità, sospensione, equilibrio. Oltre quella soglia sta tutto lo spazio che la pittura contemporanea ha sognato di poter vedere, captare, stringere a se come materia evanescente, come estatico sprofondamento verso le origini della visione assoluta.

Certo è che Cioffi, come altri giovani pittori della sua generazione, coltiva il mito di questa procedura infinita che sta nel nascondere la materia cromatica per evidenziare la forma, nel nutrire il territorio dell’ombra per lasciare emergere ogni volta la luce, e far cantare il colore in campo aperto, senza limitazioni.

Inoltre, alla base di questo sentimento della pittura sta l’idea di origine intorno alla quale agisce e reagisce il valore del colore come evento primario, non soggetto ad alcun luogo, sovrano di tutti i luoghi possibili. E’ un colore che intende essere assoluto, un colore che attira intorno a se ogni possibile esperienza del vedere, dal percepire le risonanze del mondo circostante al disgregare ogni traccia del reale nell’abbaglio di una luce irreale. Di fronte ad essa non si avverte alcuna presenza specifica, solo un senso di sprofondamento.

A questa dimensione del colore infinito (che fa pensare a Matisse e Klee, a Newman e Rotkho ma anche a chi tra gli italiani ha amato il colore della pittura antica come Turcato, Bendini, Olivieri) guardano tutti i pittori che frequentano il sogno di una luce che si estende nella coscienza dello spazio incommensurabile, nella consapevolezza di una radicale diversità della pittura da ogni forma riconoscibile, da ogni luogo circoscritto, da ogni linguaggio quantificabile.

Cioffi si è subito posto su questa via difficile, il cammino dell’astrazione come sfida nei confronti delle apparenze, delle piacevolezze, dei clamori cromatici che lusingano le attese di chi rinuncia alla libertà d’immaginare e si appaga del fatto spettacolare.

Cosi’, se è vero che per il nostro artista l’esperienza del colore si congiunge sempre al silenzio, al percorso spirituale che trascende lo spazio medesimo in cui si colloca, egli fa tuttavia in modo che la sensualità del suo volto non sia mai trascurata perchè la visibilità della luce nasce dalla corporeità della materia.

In “Trinità”, 1991, ed in diverse opere dello stesso periodo, il valore della pittura si fa esplicito con evidenza tangibile: le colature di colore, il profilo frastagliato e quasi contraddittorio delle forme, le stesure verticali sempre diverse costruiscono un percorso di sensazioni visive che il pittore sente come  ascesa spirituale.

Questo termine è vissuto in senso laico, indica una ricerca di tensioni spaziali, di tagli visivi al limite dello spasimo, di spiragli di luce sentiti come squarci di materia che sono il nutrimento primario della visione, ciò che le permette di farsi sorgente di impulsi vitali, di trasmutazioni che vanno, appunto, dal fisico allo spirituale.

I fasci di colore verticali sono direzioni per oltrepassare i limiti del reale, orientamenti verso un mondo “altro”, strutture per assumere l’energia del vuoto come trascendenza dell’essere.

C’è un aspetto grammaticale nell’affrontare lo spazio della superficie che Cioffi, in questi primi anni di lavoro, non riesce sempre a decantare, lasciandosi talvolta irretire nella logica del progetto e nella struttura analitica del fare, aspetti tuttavia necessari al possesso del linguaggio. A mano a mano che la pittura cresce su se stessa si avverte la volontà di trasformare la prassi dell’opera in un accadimento che riserva sorprese, ampi margini di manovra al gesto che mette e toglie materia, rivela i segreti del dipingere e porta lo sguardo oltre.

Ciò che il pittore sente di poter esprimere è soprattutto la genesi del colore, quello stato ambivalente della visione in cui sono racchiuse diverse possibilità, il figurabile e l’astratto, il materico e l’evanescente, la stratificazione e il vuoto, la memoria e lo slancio verso il divenire dello spazio.

 

2. Intorno al colore, i sensi del vedere (1994-1996)

D’altro lato, Cioffi ama profondamente anche la dilatazione che può suggerire la dimensione orizzontale, vale a dire il riposo del colore, l’estensione prolungata dello sguardo entro campi di luce che velano e rivelano le visioni sottostanti, il movimento nascosto delle forme, il fluire visibile e invisibile che accompagna le emozioni del colore.

Intorno al blu, al rosso, al giallo sono indicazioni di opere dipinte tra il 1994 e il 1995, magiche campiture che si affidano al potere di un solo colore, alla sua capacità di aprire gli occhi dell’osservatore verso una complessità di mutazioni luminose.

Si tratta di  tele in cui il racconto cromatico si amplifica, occupa ampie misure, costruisce cadenze ritmiche legate alla presenza del gesto, al sovrapporsi delle pennellate che lasciano affiorare la luce sottostante, in un andare  e venire del colore che trattiene la memoria di altri colori, di altre luci, di nuove soglie percettive.

L’opera più interessante che Cioffi dipinge in questi anni, certo la superficie più impegnativa, per misura e concezione cromatica, si titola “Intorno al blu”, oltre cinque metri di base per quasi due di altezza: un’immersione continua nella vastità di una pittura apparentemente monocroma, in realtà nutrita di molteplici umori, di variazioni che dall’intensità del blu conducono verso la purezza della luce bianca. L’impressione è quella di un percorso che dalla misura calcolata del gesto pittorico procede verso la sua purificazione, un processo di lettura durante il quale si avvertono non solo le vibrazioni del colore ma soprattutto il desiderio di far convivere diverse temperature, dal caldo al freddo, dal sensuale al mentale, dal fisico all’immateriale, dal luogo circoscritto a quello dilatato oltre se stesso.

Al di là di queste opposizioni dialettiche sta un diverso senso della luce che in alcuni punti si afferma fuori dello stato di vibrazione, come una zona incandescente di bianco, di puro bagliore diffuso.

Il trattamento della superficie cambia in rapporto al ritmo delle pennellate, ora veloci ed intese ora più lente e dilatate, come un respiro di cui si avvertono le inquietudini. A sostenere questo differente nutrimento della superficie sta la coscienza del fatto tecnico, la scelta di soluzioni commisurate ad esiti diversi, per esempio l’uso della tecnica all’uovo oppure quello della tempera grassa che da particolari  consistenze al colore.

Nella ricerca di queste opere dedicate al mistero del blu, al calore del rosso e alla vitalità del giallo, Cioffi esprime il passaggio dalla costruttività del gesto alla sua vaporizzazione, una relazione che gioca sempre tra pensiero ed emozione, verso quel difficile equilibrio che l’arte astratta incontra quando non si dà come vuota categoria stilistica ma come ricerca di energia visiva allo stato puro.

Non è possibile infatti escludere il piano emozionale da una pittura che vuole essere percezione di un incanto, estasi materialistica, pronunciamento di una visione “primale”, dunque affermazione di se stessa la di fuori delle regole convenzionali del dipingere.

Un particolare significato riveste il termine “intorno al” che Cioffi usa nei titoli di queste tele, rifiutando l’allusione letteraria per indicare piuttosto campi cromatici, corpi pittorici, superfici odorose di pigmento che trasmettono suoni, vibrazioni, stati di vertigine del dipingere. L’artista non ama titolazioni ambigue, evocazioni mitologiche, rimandi ad altri universi di discorso, preferisce stabilire con la pittura un rapporto concentrato sull’essenzialità del colore anche se, come vedremo più avanti, certe memorie dell’infanzia possono riemergere come origine di nuove suggestioni percettive.

Torniamo alle opere dedicate ad un solo colore, l’intenzione è di sperimentare l’immagine attraverso diversi orientamenti cromatici, non si tratta mai di stabilire regole ferree, è piuttosto auspicabile slittare dal seminato, affrontare l’imprevedibile, inventare.

In un gruppo di tempere di questo periodo lo spazio della tela non funziona più come una partitura cromatica ma acquista il valore di una pagina toccata da scie veloci, segni luminosi, effetti di bianco che attraversano lo spazio dall’alto verso il basso, come se il corpo della luce agisse per brevi attimi, fiamma che cancella se stessa.

Da un massimo di intensità ad un minimo di tensione: il fuoco di queste forme fuggevoli non è solo questione di ottica, esso coinvolge il modo stesso di produrre visione,  per far sentire il lettore partecipe dell’atmosfera che anima lo spazio e lo rende concreto e  vitale.

Non v’è nulla di didattico in questo processo di coinvolgimento, è una tentazione spontanea di cui la visione sensoriale del colore non può fare a meno, anche quando la pittura privilegia l’aspetto mentale del fare pittura,  l’analisi e la costruzione del linguaggio.

Cioffi ama immergersi nei sensi del vedere, non insegue fatue logiche concettuali che vorrebbero allontanare l’arte da emozioni e spaesamenti,  da miraggi di luce e sorgenti di mistero.

Consapevole che il lavoro della pittura non ha senso al di fuori delle sue tracce sensibili, l’artista scruta ulteriori spazi di visibilità, riflette sulla formazione del suo gusto pittorico, crea una sintesi dei modi di dipingere su cui s’è esercitato, giorno dopo giorno.

Siamo nel 1996, anno in cui nascono alcuni dittici che allontanano la pittura dalla monocromia dei blu, dei rossi e dei gialli per istituire un rapporto dialettico che riguarda non solo le scelte cromatiche.

(bianco-nero, nero-giallo, giallo-blu, rosso-nero) ma soprattutto la relazione tra il valore ritmico della pennellata o la stesura compatta.

Questa fase di lavoro si pone come una zona neutra, una sorta di pausa, di meditazione sul senso del dipingere, Cioffi sembra  dominato da uno stato d’animo in cui le cose che affiorano sono le medesime che si vorrebbero cancellare.

Tutto sta sullo stesso piano: il gesto e il suo superamento, il colore statico e il desiderio di muovere la superficie, il concreto e l’impalpabile. In una tela che porta il nome di “Iris” l’idea del dittico abbina alla contrapposizione del colore l’opposizione del ritmo delle pennellate, verticali da un lato e orizzontali dall’altro.

 

3. Prospettive irregolari, colore come luce interiore (1997-2001)

Anche se Cioffi non ama legare il suo lavoro ad eventi autobiografici c’è un episodio che merita attenzione perché acquista nel suo universo percettivo la funzione di una folgorazione, il senso di un felice condizionamento dell’immaginazione.

“Ricordo l’effetto ottico che si creava quando si accendeva la televisione, quella luce bianca che cresceva all’interno dello schermo: la serie dei dipinti denominata ‘video’ è scaturita da quell’esperienza che è rimasta impressa nella mia infanzia”.

E’ strano per un pittore come Cioffi essere ispirato da una luce tecnologica, da un bagliore meccanico, da una vibrazione che sembra differente dalla qualità della visione pittorica. In effetti la pittura  cresce oltre misura, ben al di là di quel punto bianco che avanza verso lo spettatore fino ad aprire il racconto delle immagini televisive.

Eppure, da questo pretesto visivo l’artista elabora un significativo ciclo di lavoro che trae dal minimo impulso il massimo effetto del colore, congiungendo la memoria del vissuto con il mistero di un altro ordine percettivo.

Intorno al punto di luce originario, che si colloca quasi sempre al centro della tela, Cioffi ricrea le sensazioni visive che portano al lento svelarsi della luce dentro il perimetro del colore.  Il chiarore si mescola all’ombra, la pennellata rinuncia al gesto, si assesta sulla misura calibrata di una geometria vaga, eppure presente, infine costruisce e definisce il fondo della tela come zona di risonanza e di dissolvenza dell’immagine.

In queste opere emerge il valore energetico del giallo che esprime una forza totale ma è sempre la magia purissima del bianco ad affascinare la sensibilità del pittore, a porsi come assoluto valore luminoso verso il quale convergono tutti gli altri sensi cromatici.

Il quadrato nel quadrato è indagato in tutte le possibili declinazioni, i profili delle forme sono talvolta netti, in altri casi il contorno sfuma nello sfondo oppure fa convivere una zona superiore ben delineata  e una sottostante dove il pigmento è sgranato.

Del resto, da Malevich ad Albers, la storia del quadrato non lascia spazi di invenzione se non nel valore della materia che si qualifica di fronte al pretesto visivo della geometria. Tutti i pittori contemporanei che hanno fatto l’elogio del quadrato sono usciti sfiniti dal confronto con questo luogo talmente preciso da risultare carico di effetti smisurati. Non per questo, la visione che nasce dal quadrato ha smarrito le sue ragioni d’essere: luogo di luce, icona dell’assenza, dimora originaria, spazio del silenzio, metafora della perfezione.

La fissità della serie “video” si spezza, siamo nel 1998, la ricerca di Cioffi si modifica e prende nuove direzioni, continua a costruire la propria ipotesi spaziale all’interno di uno schema ben strutturato ma il peso delle forme e dei colori acquista un andamento irregolare che sembra muovere il piano verso la terza dimensione.

Questo movimento di torsione dell’impianto geometrico permette di proiettare lo spazio verso una diversa coscienza dell’istinto prospettico che da questo momento si impadronisce del pittore facendogli immaginare slanci sospesi nel vuoto, elementi di fuga che sbilanciano l’equilibrio da una parte o dall’altra, tutto dipende dal punto di vista.

L’assetto di queste prospettive è imprevedibile, la logica è puramente intuitiva, la direzione è spesso trasversale pur muovendosi da un punto centrale che costituisce il perno per l’azione dell’occhio.

Il vuoto in cui si articolano questi frammenti prospettici acquista peso, durata, luminosità: è un vuoto nutrito di colore monocromo, sono sempre il giallo, il blu e il rosso i colori a dominare. Le loro risonanze si dilatano e la sensazione è la distribuzione di un’energia luminosa che da un breve frammento di prospettiva interiore si espande tutt’intorno, come se l’interno coincidesse con l’esterno.

In queste opere Cioffi cerca la saturazione cromatica, la totalità dell’immagine,  la pienezza percettiva, egli inoltre persegue quella lontananza dalle forme del reale che è la ragione stessa del dipingere.

“Come non accorgersi che è immagine solo ciò che cessa di somigliare?” ha scritto Claudio Olivieri, pittore che Cioffi ama profondamente, come del resto è ugualmente affascinato dalle risonanze interiori suggerite da Mario Raciti quando invita a ritrovare se stessi “nell’eco dei sogni primordiali”.

Queste frequentazioni di pittura e pittori sono un nutrimento necessario all’identità di ricerca, allo spazio che il pittore edifica davanti a se, sulla tela, come varco da superare, materia da respirare, forma interiore da coltivare sul filo della coscienza.

Ma la coscienza è anche quella dei mezzi: l’uso tagliente delle linee di demarcazione di determinate campiture suggerisce tensioni strutturali che spingono lo sguardo oltre il limite, oppure dentro un altro spazio, o ancora verso un altrove possibile, in un gioco di rimandi che diventa interminabile, e Cioffi non teme l’avventura infinita del colore.

L’intuizione prospettica fissata in queste opere svanisce a mano a mano identificandosi nella purezza assoluta della luce, cosi’ che molti titoli dell’ultimo biennio parlano semplicemente di luce interiore: la struttura geometrica perde la visibilità del perimetro, le linee sono smaterializzate dal colore-luce.

La visione è qualcosa che prepara alla visione stessa della pittura, è lo spazio in cui le forme si intravvedono, è la pausa che permette all’artista di interrogarsi sul cammino che sta facendo, riconquistando una diversa coscienza del procedimento cromatico.

Alcune tele di questo periodo possono essere definite “pure presenze” che Cioffi dipinge senza far sentire il gesto della pittura, come se la luce provenisse dalla fibra interna del colore fino a depositarsi in modo impalpabile sulla superficie.

Tali presenze vivono in relazione a quel silenzio e a quella meditazione che il pittore chiede a se stesso fin dall’inizio, una condizione costitutiva perchè il colore possa fluire attraverso attimi di lenta rivelazione, senza che nulla sia preordinato.

Nell’ambivalenza tra la visione strutturata dello spazio e la percezione del colore interiore Cioffi sente la pittura come armonia di forme ormai prive di margini, vaghe e divaganti, guidate da una leggerezza che avviene entro le trasparenze ma anche attraverso le penombre, le oscurità splendenti, il soffio sfumato del nero.

In tal modo la geometria abbandona il campo, la pittura diventa icona di luce, volto dell’anima- come recita il titolo di una delle ultime opere del 2000. Si tratta di un volto difficile da rappresentare almeno quanto lo è l’idea di anima che Cioffi sfiora, ben sapendo che si tratta solo di un’aspirazione verso il non conosciuto, il non rappresentabile, l’incommensurabile.

Quello che conta è che la metafora dell’anima si riconduca ogni volta al corpo del colore, alla verità della luce fisica e abbagliante che Cioffi considera come l’unico tramite verso l’interiorità: un cammino sensoriale e mentale che cresce come esercizio di affinamento del vedere che il pittore insegue e continuamente sogna.